Il gusto di quel caffè

 

PREMESSA


- Per il caffè senza di me, devo fare una scenata di gelosia o faccio il superiore?

- Scenata... o sceMata se preferisci.

- Ok, vada per la scenata.


INIZIO


Io, che ho dedicato tanto tempo alla ricerca di un aroma e di un sapore, non posso sopportare che tu vada dietro alla prima tazzina che passa: una sciacquetta, anzi una vera ciofeca!  Come puoi tradirmi, con la prima acqua sporca che incontri? Basta! Sono arrabbiatissimo e ti rendo la pariglia: vado con il primo caffè-latte che incontro!


... e così è andata! 


Irato e pieno di rabbia vendicativa mi precipitai per strada, lungo il viale, e cominciai a girovagare alla ricerca disperata del primo caffè-latte disponibile.

Ripensandoci ora, sono stato vittima di uno strano segno del destino.

A me il caffè-latte non è mai piaciuto, e per questo non l'ho mai cercato, ma, nonostante ciò, andavo errando come una bestia affamata e affannata.

Incontrai di tutto: thè neri, thè verdi, tisane ai lamponi fuori stagione, caffè alla panna acida e persino cioccolato bianco sporcato col cacao...  tutte le bevande calde possibili, immaginabili o no, ma di un caffè-latte, neanche l'ombra. Il destino sembrava avverso, non riuscivo a soddisfare la mia sete di vendetta e la rabbia saliva sempre di più: più non trovavo caffè-latte, più continuavo a cercare e più cercavo e più non trovavo.

E allora continuai a camminare, camminare e camminare. Poi, d'un tratto, vidi, in lontananza, trasparire tra la nebbia che lentamente si allontanava mentre il sole sorgeva, una luce che assomigliava ad una lettera dell'alfabeto stile anni 50. Sì, era proprio una B. Poi, ancora confuse nell’umida foschia mattutina riuscii a riconoscere altre due lettere: una A e una strana R. Fu così che mi accorsi che si trattava di una insegna dalla luce fioca e sbiadita, anch'essa stanca per la notte di tormento trascorsa: un Bar, un vero Bar di periferia, finalmente aperto! Come accade nelle fiabe a lieto fine, la storia sembrava volgere al termine. Ma qui nessuno stava vivendo felice e contento! Qui bisognava al più presto entrare nel locale e ordinare il desiderato caffè-latte. Percorsi affannosamente la salitella e, prima della curva, arrivai davanti alla porta d'ingresso...   CONTINUA... 


…PROSEGUE (2)


… e mi fermai, indeciso se varcare o meno quella soglia.

Da fuori si udiva il rumoreggiare di quelle attività che, all’inizio di ogni giornata, qualunque buon bottegaio si affretta a compiere. L’acqua scrosciante nel lavandino del bancone e lo sbuffare del vapore della macchina per il caffè, sembravano essere la musica d’accompagnamento a quelle pulizie mattutine che la signora, contitolare dell’attività ereditata dall’anziano, sempre vigile, suocero, si apprestava a compiere, attendendo che il pavimento appena lavato si asciugasse.

Larghi specchi dalle cornici di legno massello erano in attesa della loro quotidiana dose di olio di gomito, file di bicchieri appena usciti dalla lavastoviglie erano schierati come militari pronti all’attacco ed una variegata selezione di bottiglie di liquore faceva bella mostra di sé sulla balaustra del bancone. Fui d’improvviso attratto dal tintinnio di un campanellino elettrico, un po’ malfunzionante, che segnalava ogni apertura della porta d’ingresso e che sembrava dire: “benvenuto a fare colazione”. Io ero lì, deciso a consumare la mia ira, ma indeciso ad entrare. Sentivo che  quello non era il posto giusto per me, ma non avevo altra scelta, volevo soddisfazione dell’onta subita oltre ogni cosa.

E fu così che entrai!  Dritto verso il bancone, passo veloce e sicuro, incurante di tutti quei particolari che avevo notato un attimo prima di varcare la soglia.

“Un caffè-latte” dissi.  “Subito, signore” rispose la voce di un ragazzo che stava sistemando alcune tazzine sopra la macchina per il caffè. Eh, sì, erano proprio “quelle” tazzine. Tazzine simili a quella che aveva scatenato la mia gelosia: anonime, insignificanti pronte a contenere poche gocce di acqua calda macchiata da chissà quale miscela acquistata in offerta in chissà quale supermercato.

“Il signore è servito” ripeté dopo pochissimo la stessa voce, e appoggiò sul bancone un piattino con sopra un bicchiere, di quelli alti, che conteneva il tanto desiderato caffè-latte. La mia vendetta stava per compiersi, la mia gelosia finalmente stava per essere soddisfatta. Allungai la mano verso il bicchiere e lo strinsi con i polpastrelli, ma subito lasciai la presa per il grande calore che il vetro emanava: … scottava! Avrei dovuto ancora attendere qualche attimo. Il ragazzo, forse vedendo il mio indugiare, mi chiese: “desidera un cornetto?”  indicando un vassoio lì accanto pieno di paste, ancora calde di pasticceria. “No, solo un caffè-latte, grazie!” risposi, e “solo un maledetto caffè-latte”, pensai…

CONTINUA... 


…PROSEGUE (3)


... e continuai a riflettere davanti all’incandescente vetro del bicchiere.

Ma proprio con un caffè-latte dovevo vendicarmi? Non avrei potuto scegliere, e sarei stato libero di farlo, qualcosa di più gradevole, come, per esempio, un cappuccino che, almeno per me, ha sapore e aspetto più piacevoli?

Ma così non è stato. L’orgoglio ha un suo prezzo, e, ormai, non potevo certo cambiare idea! Incredulo di questo mio masochismo, ma accecato dall’istinto, sciolsi ogni titubanza, afferrai il bicchiere, che nel frattempo si era stemperato, lo avvicinai alle labbra e …

Man mano che il vetro indugiava verso la bocca, sentivo aumentare l’odore amaro-dolce del latte sporcato dal caffè: un vero supplizio! Subito dopo, quel liquido marrone-sbiadito cominciò a scendermi in bocca e poi giù, giù, scorrendo, nell’esofago e ancora oltre. Tre sorsi. Tre lunghi faticosissimi sorsi e il rito fu compiuto. Posai il bicchiere sul bancone, accanto al piattino, guardai il ragazzo con un ghigno sornione che voleva dire “è finita” e mi voltai verso la cassa per pagare il conto alla signora.

Compiaciuto della bravata appena consumata, sortii dal locale proseguendo per il percorso in salita di quella strada, verso la non distante curva. La vicenda che mi aveva portato fino a lì, era ormai definitivamente conclusa.

Nel frattempo la luce del giorno aveva conquistato la città e poco rimaneva della notte appena trascorsa. Nonostante ciò, potevo ancora udire il rumore solitario dei miei passi che scandivano un’andatura lenta ma costante. D’improvviso il ritmo del calpestio fu interrotto da una voce non troppo lontana che esclamava: “Signore! Signore!”. Era la signora che, uscita dal Bar, mi chiamava affrettandosi a raggiungermi. La guardai e… Ma questo è l’ inizio  di un’altra storia.


FINE